Monteleone
di Spoleto:
Ricerche
Archeologiche a Forma Cavaliera
Settembre 1998-1999
Dott.sa Liliana Costamagna Soprintendenza Archeologica dell’Umbria
Nel comprensorio appenninico di Monteleone di Spoleto l’uso
del territorio dall’età arcaica fino alla romanizzazione
è segnato da una fitta rete di presenza che rivelano l’importanza
dell’area. Si tratta di piccoli nuclei abitati
sorti in diretta connessione con le limitate risorse agricole ma
che mostrano anche la loro correlazione con i castellieri, più
direttamente connessi alle esigenze della pastorizia. Numerose sono
le presenze di tipo culturale, con santuari, che sorgono nei punti
nodali per il controllo del territorio e la gestione dell’economia
della pastorizia.
Vennero individuate come luoghi sacri le alture principali, quelle
che offrono le più ampie visuali sul territorio circostante
e le sorgenti poste lungo i percorsi seguiti dai greggi. In tal
modo furono posti sotto la protezione divina i movimenti dei pastori
con il loro bestiame nella ricerca dei pascoli, nonché il
controllo dei flussi commerciali, verosimilmente finalizzato all’esazione
dei dazi.
A Forma Cavaliera, proprio in relazione ad una di queste sorgenti,
oggi esaurita, ma della quale resta ancora il ricordo, si sviluppò
a partire dal VII sec. a.C. un santuario, disposto su un pendio
prospiciente il fosso Vorga, lungo un percorso che da nord si dirigeva
verso la Piana di Leonessa. Il sito venne individuato negli anni
Ottanta, quando lavori di aratura profonda per la coltivazione agricola
portarono in luce reperti che furono raccolti dal sig. Secondo Olivieri
di Monteleone. Si tratta di bronzetti schematici, anche del tipo
più antico a la mina ritagliata, frammenti di dischi decorativi
e vasellame miniaturistico in bronzo (un’ansa di situla e
un sostegno di tripode), vaghi ornamentali e frammenti di balsamari
in pasta vitrea. Si sono inoltre rinvenuti vari frammenti di metallo
grezzo, bronzo (aes rude) e ferro, usati con funzione pro-monetale
ed alcune monete romane di età repubblicana.
Il momento iniziale della frequentazione del santuario sembra risalire
al VII sec. a.C. a giudicare dal rinvenimento di una fibula in bronzo
a navicella con apofisi laterali.
La frequentazione più antica è documentata da frammenti
ceramici di impasto buccheroide nerastro e da numerosi frammenti
di grandi olle stamnoidi globulari con anse oblique, impostate nel
punto di massima espansione. Queste ultime rappresentano, insieme
ai prodotti ad impasto, la produzione ceramica più caratteristica
in quest’area nel VI e V sec. a. C. e sono realizzate in una
caratteristica argilla depurata, con forte aggiunta di minuti inclusi
calcarei bianchi e recante spesso tracce di ingobbio rossastro in
superficie. La produzione ad impasto, attestata solo in termini
percentualmente ridotti ( ma occorre tener conto che la raccolta
dei frammenti è avvenuta in maniera selettiva e non sistematica),
consiste soprattutto nelle consuete olle, prive di anse e con orlo
estroflesso. Si segnala tuttavia la presenza di un frammento di
fondo pertinente ad un colino (forse per produzioni casearie) con
fori disposti irregolarmente, eseguiti prima della cottura. La presenza
di numerose olle acrome può essere collegata alla sorgente,
ma suggerisce anche la possibilità che parte delle offerte
votive consistesse in derrate alimentari.
Nel IV e III sec. la ceramica a vernice nera ricorre con maggiore
frequenza: sono documentate le produzioni etrusche sovradipinte
con motivi vegetali semplificati e numerose coppe di produzione
romana e laziale.
Il rinvenimento di un utero votivo in terracotta rappresenta un
preciso segnale della avvenuta romanizzazione della Sabina intera
e del proseguire del culto nel santuario nonostante il mutato quadro
di riferimento politico.
Nel 1998 la Soprintendenza Archeologica dell’Umbria ha avviato
una ricerca sistematica nell’area del santuario, finalizzata
a comprendere l’espansione dell’area archeologica e
lo stato di conservazione del contesto.
A tale scopo è stata aperta una trincea di carattere esplorativo
lunga circa 23 m. e larga 2 m., disposta secondo l’andamento
del pendio ed ubicata nell’area dove maggiore era l’attestazione
dei materiali di superficie.
Lo scavo ha evidenziato il persistere di una stratigrafia non disturbata
pertinente alle strutture del santuario, conservata sotto oltre
50 cm. di terreno, completamente alterato da riporti e movimenti
di terra. Il contesto messo in luce è preromano e cronologicamente
può essere riferito al VI – V sec. a. C.. Il complesso
in origine doveva essere articolato su terrazze digradanti, sostenute
da strutture di contenimento realizzate in pietrame appena sbozzato,
messo in opera a secco. Attraverso l’osservazione dell’andamento
del pendio si intuisce la presenza di una di queste strutture di
contenimento alcuni metri più a valle del limite inferiore
della trincea. E’ probabile che essa rappresenti il limite
del santuario verso il fosso Vorga, tenuto conto dell’improvviso
ridursi della documentazione di superficie nel settore immediatamente
sottostante. Lo scavo è stato preceduto da una ricognizione
dell’area con raccolta sistematica dei materiali di superficie,
finalizzata all’acquisizione e definizione, su base statistica,
delle informazioni che era possibile desumere circa l’estensione
del santuario e la dispersione delle stipi votive, intaccate.
Da questa raccolta provengono alcuni reperti di grande interesse.
Meritandoli essere ricordati alcuni bronzetti che per tipo e dimensioni,
pur rientrando nella produzione schematica di area umbra meridionale,
si distinguono dalle attestazioni più correnti e trovano
confronto soprattutto nei materiali dalle stipi del santuario di
Ancarano, presso Norcia, scavate nell’ottocento dal Guardabassi.
Un bronzetto di Marte in assalto, alto cm 12,5, è rappresentato
secondo il consueto schema iconografico con il grande cimiero e
in atto di scagliare la lancia, non conservata: un secondo esemplare
analogo è riprodotto di dimensioni inferiori, un terzo infine
mostra lo scudo realizzato in aderenza al braccio sinistro ed è
privo di cimiero. Il rinvenimento di piccoli scudi circolari in
bronzo, raccolti isolati, è evidentemente da attribuire ad
analoghe figure.
Una figura femminile di offerente, rappresentata con lunga veste
liscia aderente ed in atto di porgere con la mano destra una offerta
votiva di piccole dimensioni, forse un frutto, rimanda nella rappresentazione
dei tratti del volto e dell’intera figura a tipi tardo arcaici,
databili intorno alla prima metà del V sec. a. C. .
Accanto a questi esemplari, è ben documentata a Forma Cavaliera,
la produzione di più diffusi bronzetti schematici, con rappresentazione
di oranti, maschili e femminili, e di quadrupedi. Il santuario di
Forma Cavaliera, pur trovando confronti in quello di Ancarano di
Norcia per quanto concerne gli ex voto attestati, per l’arco
cronologico di frequentazione e per la collocazione significativa,
lungo importanti percorsi viari, si differenzia tuttavia da questo
per la posizione topografica. Ancarano rappresenta infatti un santuario
di valico e di controllo del valico, Forma Cavaliera appare invece
in stretta relazione con l’antica sorgente e si confronta
piuttosto con i santuari di pendio e di culto delle acque.
Un utile riferimento per la prosecuzione dell’indagine del
sito può essere individuato, a titolo di esempio, nelle recenti
indagini condotte sul santuario di Ercole a Corfinio (AQ). Pur in
quadro culturale evidentemente diverso e documentato a Corfinio
solo a partire dal III sec. a. C., l’area sacra mostra tuttavia
una organizzazione planimetrica e topografica in una situazione
topografica non dissimile da Forma Cavaliera, con una sistemazione
su due terrazze principali lungo un pendio e in precisa relazione
con una sorgente. Tale confronto risulta ancora più significativo
se si tiene conto di alcune indicazioni che sembrano potersi desumere
dalla lettura delle fotografie aere disponibili, nelle quali si
individuano anomalie nel settore del santuario più verso
monte, dove potrebbero indicare la presenza di strutture di un piccolo
edificio.
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